Durante la “Guerra di secessione” è riuscito a curare molti traumi e patologie senza utilizzare farmaci e alcune volte anche ad evitare interventi chirurgici. Medico americano della seconda metà dell’Ottocento, Andrew Still è considerato il padre fondatore dell’osteopatia, medicina manuale che si basa sul concetto di unità. Un’unione tra scienza e filosofia che non ha nulla a che vedere con la cultura delle arti orientali. Punto di partenza è l’idea che ogni individuo è un’entità composta da corpo, mente e spirito. In poche parole, l’osteopatia punta non tanto alla cura del sintomo, quanto al riequilibrio globale delle funzioni del corpo, il tutto senza prescrivere farmaci, ma utilizzando esclusivamente tecniche di manipolazione. Manovre lente, avvolgenti, ma precise che cercano di ripristinare l’allineamento ottimale delle ossa del cranio, della colonna vertebrale, sino a quelle degli arti, correggendo così le alterazioni dovute a tensioni, aderenze post-chirurgiche e posture errate.
“L'approccio non è sintomatico, ma causale – sottolinea l’osteopata Fabio Cacioli - va cioè alla ricerca della causa della sofferenza, che può annidarsi anche in un'altra zona corporea rispetto a dove si sente dolore. L'osteopata non può prescrivere farmaci, ma affianca gli specialisti delle scienze mediche di base come il pediatra, il geriatra, l’oculista o l’odontoiatra”.
Ma come si fa a diventare osteopati? “La qualifica per diventare osteopata in Italia, si ottiene frequentando una delle scuole regolarmente riconosciute dal Registro degli osteopati italiani (Roi), una di queste si trova in Sicilia, a Catania – spiega Cacioli – Esistono due tipologie di scuole: quella a tempo pieno, che dura 5 anni e alla quale si può accedere con il diploma di scuola superiore, e la scuola a tempo parziale che dura 6 anni. Per accedervi bisogna essere in possesso di una laurea in medicina, in fisioterapia o in scienze motorie”. La qualifica di osteopata, così come l’osteopatia in generale, però, non è ancora riconosciuta dallo Stato italiano. Un grosso neo che, secondo Cacioli, non fa altro che incentivare la diffusione dell’esercizio abusivo della professione.
|