perdono

Il perdono è terapeutico? Dipende dalla nostra volontà


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Il concetto di perdono è di origine biblica e compare molto presto in Esodo. Nel Sinai Dio dice di Sé a Mosè “d’esser un Dio misericordioso, pietoso e buono che perdona”.

Il perdono discende da un’identità misericordiosa, pietosa e buona, immersa in una relazione affettuosa. Il perdono è un processo di cambiamento che attiene alla relazione, un processo che la guarisce, e non l’azione sbagliata, la quale rimane fissa nella sua negatività, legata alla responsabilità e alla giustizia.

“Si perdona la persona, non l’azione offensiva”.

Per passare dall’odio all’amore vi è un unico passaggio, il perdono. L’amore per guarire le ferite delle ostilità deve rivestirsi di perdono che è l’amore che si butta le offese alle spalle.

I termini misericordia e pietà sono strettamente legati alla parola perdono. Il termine misericordia in aramaico viene dalla radice raham (grembo, utero).

Rahamin è il farsi grembo materno, cioè il prendersi il peso con amore, con compassione, un rendersi responsabili, un accettare ed accogliere.

La parola pietà viene dalla radice hen, antico termine giuridico che indicava il piegarsi del signore verso il debole per difenderlo dal potente. Il termine bontà, hoesoed, indica un profondo atteggiamento di bontà e quando s’instaura fra due persone, l’hoesoed descrive la benevolenza reciproca e la fedele continuità che si deve avere in questo rapporto.

La traduzione che più s’avvicina al significato originale secondo i biblisti è: gratuito ed inaspettato.

Il termine perdono proviene dalla radice sibilante e onomatopeica zhl, annaffiare, aspergere, lavare le ferite, risanare. Il perdono che guarisce e libera, è la risposta innocente al male, è l’atto di guarigione che nasce dal farsi grembo compassionevole del limite, piegandosi in modo gratuito ed inaspettato. Scegliere di perdonare è liberarsi dalla delusione, dal rancore, dal risentimento e dall’odio, tutti portatori di stress.

Il perdono è un processo di cambiamento volontario che si oppone agli esiti negativi dell’offesa per guarire dall’inevitabile malessere collegato allo stress conflittuale.

L’analfabetismo emotivo, base di tante tragedie ed incapacità di gestire il proprio sentire, è oggi devastante: al punto da divenire la principale causa dei delitti famigliari.

L’evidenza più attuale è l’incapacità a stabilire relazioni positive sia con se stessi, causa di nevrosi, e sia con gli altri, con un carico di sofferenza e di conflitti che riempiono la cronaca quotidiana.

Il nostro corpo in situazioni di serenità produce il Dhea, un ormone protettivo, il quale ha li stessi precursori chimici del cortisolo, l’ormone dello stress.

Il Dhea è associato a molte funzioni protettive e stimolanti la salute. Quando il precursore nello stress viene utilizzato per produrre cortisolo, non può servire per il Dhea. (L. Childre, H. Martin 2000).

Allora le nostre energie vengono incanalate nel percorso dello stress prodotto dall’odio, cosicché non rimane energia per i processi rigenerativi e per la difesa dalle malattie.

Ad alti livelli il cortisolo uccide le cellule cerebrali, riduce la massa muscolare, aumenta i danni ossei, le osteopatie e molte altre patologie.

Mentre l’adrenalina prodotta dalla rabbia aumenta i rischi cardiaci e le aritmie. Il perdono produce una condizione di liberazione, di leggerezza, di gioia e felicità intense.

Durante il processo di perdono si manifestano nel fisico gradevoli sensazioni di piacere, che causano il rilascio di benefiche endorfine nel sangue. Mentre invece, con la rabbia diminuisce l’ossido di azoto nel sangue, che funge da vasodilatatore.

Il perdono terapeutico comprende tre momenti, la presa di coscienza, il volere e decidere di perdonare, nonché il trasformare l’odio in un augurio di benessere.

Nella prima fase, la persona prende coscienza e consapevolezza dell’emozione negativa e del motivo della sofferenza, del danno, dell’ingiustizia subiti.

Nella seconda, la persona vuole e decide di perdonare, mentre nella terza, trasforma l’odio, il rancore, il sentimento ostile nell’augurio o desiderio che l’Altro stia bene, onde abbandonare ogni residuo sentimento di vendetta.

Diceva Shakespeare:

“Avere rabbia è come bere del veleno e… aspettare che l’altro muoia”.

Odiare non è né igienico e né salutare, serve solo ad avvelenarsi di cortisolo, ammazzandoci lentamente da soli di rancore ed odio!

Carlo Bonessi
Presidente Siti

di Dott. Carluccio Bonesso

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