carcerato
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Carcere e malattie infettive, un connubio da non sottovalutare


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È rilevante segnalare il carcere come rischio per la salute da malattie infettive ma anche come opportunità. I fattori che, di fatto, limitano la corretta gestione dell’assistenza dei pazienti affetti da malattie infettive, possono individuarsi in diversi fattori. Questi possono dipendere dal paziente detenuto, Il quale ricerca le simulazioni o il rifiuto della malattia per calcolo o per ignoranza. In questo senso, il rifiuto o la scorretta terapia possono verificarsi anche per mancanza d’informazioni oppure per sfida, ribellione, dimostrazione. L’essere detenuto o l’essere stato viene ad associarsi a scarsa aderenza e perdita del follow-up anche dopo la detenzione. Non sono da sottovalutare anche i fattori dipendenti dall’istituto carcere, come i trasferimenti improvvisi e senza preavviso per motivi di giustizia, di punizione e di sicurezza, conflittualità, scarcerazioni. Si può dire che l’abbandono della terapia intrapresa in carcere e non ultimata per scarcerazione è variabile tra 17% e 36%, mentre l’alta mobilità limita l’accesso allo screening, favorendo l’insorgenza di resistenze per interruzione dal trattamento. Non ultimi, si possono aggiungere anche quei fattori come la diffidenza nell’attuare e nell’offrire un servizio di consulenza convincente per incrementare l’adesione del paziente ai percorsi diagnostici e terapeutici, che dipendono dal personale sanitario. Infine, molto dipende dall’organizzazione socio-sanitaria territoriale, dovuti all’assenza di percorsi consolidati in grado di immettere il detenuto nei percorsi sanitari territoriali. Per questo, l’analisi delle patologie infettive più frequentemente segnalate in carcere indicano che vi sia una prevalenza massima di alcune infezioni, determinata principalmente dalle epatiti virali non A, dalla scabbia e dall’infezione da HIV in diversi stadi di evoluzione. Sono prevalentemente acquisite al di fuori del carcere, anche se casi di trasmissione potrebbero verificarsi durante la detenzione attraverso rapporti sessuali, procedure di tatuaggio, scambio di siringhe e oggetti taglienti, etc. Dopo tutto questo, si può, quindi, affermare che il carcere è un rischio per la salute di detenuti e della comunità, giacché la salute di quest’ultimi è meno buona che quella della popolazione generale. Ciò accade per la povertà sociale e culturale dei suoi componenti, per le difficoltà di accesso alle cure con tempestività e continuità in libertà, e per la persistenza di comportamenti a rischio favoriti anche dal sovraffollamento e promiscuità. Tuttavia, il carcere è anche un’opportunità per la salute per i soggetti che durante la libertà hanno poco contatto con il Sistema Sanitario Nazionale, vivendolo come luogo/momento di incontro con lo stesso SSN. Per questo, è possibile usare il carcere come ambiente nel quale è possibile prevenire, diagnosticare e trattare patologie infettive. La galera, paradossalmente, diviene così un ambiente per formazione, per l’educazione sanitaria e per la promozione della salute.
Dario Bellomo
Dirigente Medico presso ASP di Asti
Responsabile Sos Medicina Penitenziaria

di Dott. Dario Bellomo

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