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C’è un legame tra alimentazione e Alzheimer?


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Il legame tra diabete e Alzheimer sembra trovare sempre più conferme, tanto che alcuni ricercatori hanno ribattezzato l’Alzheimer come una forma di “diabete di tipo 3” o come “diabete cerebrale” che colpisce il cervello.

Recentemente, è stato rilevato che l’insulina è prodotta anche nel cervello, non solo nel pancreas e negli ultimi 7-8 anni c’è stato un aumento dell’evidenza che l’utilizzazione del glucosio da parte del cervello è un fattore chiave nell’insorgenza della malattia di Alzheimer.

Gli studi più recenti dimostrano che uno dei fattori in gioco nella sua insorgenza è proprio l’insulino – resistenza a livello cerebrale.
È noto che il cervello è in grado di usare “solo” il glucosio a scopo energetico, non usa né grassi né proteine per il proprio sostentamento.

In una condizione d’insulino – resistenza le cellule cerebrali sono meno in grado di introdurre ed utilizzare glucosio, ed è questo che si traduce con una perdita progressiva delle funzioni cerebrali. In condizioni di normalità, l’insulina è in grado di regolare le funzioni dell’ippocampo (centro responsabile del comportamento) eregola la funzione dell’acetilcolina, neurotrasmettitore importantissimo nei processi di memoria ed apprendimento.

Uno sbilanciamento della funzione dell’insulina quindi, causerebbe nel giro di poco tempo, danni alla memoria, nel comportamento e nell’apprendimento. Inoltre, l’insulina modula la plasticità sinaptica, promuove il reclutamento di recettori GABA (acido gamma-aminobutirrico) sulle membrane post-sinaptiche, influenza la conduttanza al calcio del recettore NMDA (recettoriN-metil D-aspartato), e regola la ciclicità dei recettori AMPA (recettore dell’acido α-amino-3-idrossi-5-metil-4-isoxazolepropionic).

Con il tempo una sua alterazione porterebbe ad una progressiva degenerazione cerebrale. Da alcuni anni, la ricerca scientifica, per arrivare a nuove strategie di prevenzione contro l’Alzheimer, ha iniziato sempre più a concentrare la propria attenzione su possibili fattori di rischio di natura metabolica.

L’obesità, il diabete e l’ipertensione, possono, influenzare l’insorgenza di questa patologia che com’è noto, colpisce prevalentemente le persone più avanti con gli anni. Anche se i meccanismi molecolari alla base della relazione tra sindrome metabolica e disturbi neurologici non sono pienamente compresi, sta diventando sempre più chiaro che le alterazioni cellulari e biochimiche osservate nei disturbi del metabolismo possono costituire un ponte tra la sindrome metabolica patologica e vari disturbi neurologici.

Più di recente, la sindrome metabolica (MetS) – un insieme di fattori metabolici quali resistenza all’insulina, obesità addominale, intolleranza al glucosio, ipertensione, iperinsulinemia – è stata associata ad un aumentato rischio di sviluppare l’Alzheimer.

Forti evidenze suggeriscono che l’infiammazione sistemica e l’adiposità centrale contribuiscono a perpetuare la Sindrome metabolica insieme al propriopatrimonio genetico, l’età, il genere, la dieta, l’attività fisica e le abitudini in generale.

Un altro collegamento tra obesità, infiammazione, insulina e demenza è la proteina precursore dell’amiloide (APP). L’APP è un’adipochinaprodotta e trasformata in A-40 – 42 dal tessuto adiposo. Questo frammento è espresso nei tessuti adiposi e sovra-espresso in adipociti addominali di pazienti obesi.

Nel bacino del Mediterraneo, già 20 anni fa, si è valutato che il 70% degli adulti possedeva uno dei disturbi che caratterizzano la sindrome metabolica mentre nella popolazione europea il tasso di sindrome metabolica si aggira sul 7-30%.

D’altra parte, alcuni ricercatori americani hanno ipotizzato che la malattia di Alzheimer sia una terza forma di diabete e questa ipotesi è stata formulata nel 2005 quando avendo analizzato 45 pazienti post mortemcon questa patologia, misero in evidenza nel cervello a livello istochimico bassi livelli di insulina.
Successivamente, si è visto che le differenti fasi differenti della malattia si legavano ad una riduzione di questi parametri rispetto un cervello sano.

Per concludere, chi soffre di diabete di tipo 2 è maggiormente a rischio di demenza senile rispetto al resto della popolazione, per cui èimprescindibileun’attenzione accurata allo stile di vita nonché all’alimentazione non solamente durante l’invecchiamento ma sin dall’inizio della nostra vita.

Movimento edalimentazione sana promuovono sia il mantenimento del peso corretto sia un adeguato equilibrio psico-fisico. Oltretutto, è ben noto che il movimento, non agonistico, abbassa i livelli degli indici infiammatori e rende l’organismo più sensibile all’insulina. In tal modo, si riduce il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 in soggetti a rischio.

Dr.ssa Sonya Vasto
Nutrizionista
Ricercatore STEBICEF

di Dott.ssa Sonya Vasto

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