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Celiachia e l’autodiagnosi, una strada che è meglio non seguire


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Celiachia – Una moda pericolosa quella di autodiagnosticarsi un’intolleranza al glutine, o meglio una ‘sensibilità al glutine non celiaca’.
Molti presunti intolleranti, infatti, “sono in realtà dei veri celiaci e come tali vanno inquadrati e seguiti da uno specialista”.

A lanciare l’allarme sono i gastroenterologi della Sige (Società italiana di gastroenterologia), che ricordano come questa condizione, “dai contorni assai sfumati”, è finita da qualche tempo sotto la luce dei riflettori. Si allarga, infatti, la rosa delle potenziali proteine alimentari colpevoli di disturbi simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile (pancia gonfia, dolori addominali, diarrea alternata a stipsi), molto frequenti tra la popolazione generale, in particolare tra le donne.

La celiachia secondo le stime interessa almeno un italiano su 100 (come in tutto il mondo occidentale), anche se i soggetti geneticamente predisposti a questa condizione sono circa il 30% della popolazione.
“La celiachia – spiega Ciacci – è una intolleranza al glutine, un complesso di proteine presenti nel grano e in altri cereali (orzo, segale, eccetera) che attiva una risposta immunologica in persone geneticamente predisposte. Nel sospetto clinico di celiachia e mentre il soggetto sta facendo una dieta contenente glutine – prosegue – vanno effettuati la ricerca di anticorpi anti-transglutaminasi IgA nel sangue e il dosaggio delle immunoglobuline IgA totali.

Se il test risulta positivo si fa un secondo prelievo per gli anticorpi anti-endomisio IgA. Per avere un’ulteriore certezza si possono fare anche i test genetici.
La positività di questi esami in un bambino sintomatico è sufficiente per fare diagnosi di celiachia.
Nell’adulto, invece, si deve necessariamente fare la biopsia dei villi della seconda porzione del duodeno per fare diagnosi di celiachia”.

Mentre per la celiachia i criteri diagnostici sono chiari, più controversa è la diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca.
“Quando non ci sono gli elementi per far diagnosi di celiachia – afferma Ciacci – ma la persona riferisce che i suoi sintomi sono alleviati o scompaiono con una dieta senza glutine, questa persona si autodefinisce intollerante al glutine o affetta da sensibilità al glutine di tipo non celiaco.

Sono stati proposti diversi protocolli per la diagnosi di questa condizione, ma in assenza di biomarcatori o di alterazioni istologiche tipiche, la diagnosi può essere solo di esclusione.
In linea di massima gli esperti concordano che, se dopo 6 settimane di dieta priva di glutine non si osservano miglioramenti sui sintomi addominale, la diagnosi di ‘sensibilità’ può essere esclusa con ragionevole certezza”.

E la terapia? Molti di questi soggetti presunti intolleranti finiscono con l’adottare spontaneamente una dieta gluten-free che in alcuni contesti, come gli Stati Uniti, è stata scelta anche da un americano su 4, facendo esplodere il mercato dei prodotti gluten-free che lo scorso anno ha battuto cassa per 11,6 miliardi di dollari e presenta un trend di crescita inarrestabile, concludono gli esperti.

Ankronos

 

di AdnKronos

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