Italiani

Gli Italiani, un popolo in estinzione

Gli italiani, un tempo, erano un popolo molto prolifico, tanto da arricchire attraverso l’emigrazione, economicamente e culturalmente interi Paesi stranieri, in primis Stai Uniti e Argentina. Oggi, il problema è inverso e la contrazione delle nascite, già in corso da 30 anni, ha raggiunto un nuovo record negativo registrando all’anagrafe nel 2013 poco meno di 515 mila bambini rispetto ai 534 mila del 2012. Le donne italiane in età fertile fanno pochi figli, in media 1,29 per donna che è lontano dai 2 per donna che assicurerebbe il ricambio generazionale, e sempre più tardi, tanto che il primo figlio si ha a 31 anni in media. Non è un caso che rispetto al 2008 si registri un calo di ben 62 mila unità. Come mai si assiste a questo decremento così marcato negli ultimi anni? La causa principale va ascritta alla crisi economica che ha messo a dura prova le famiglie italiane perché non è stata temporanea, ma strutturale, mostrando i limiti dell’attuale modello economico. Ufficialmente, la recessione è finita, ma non la stagnazione, per cui la congiuntura non incoraggia la speranza nel futuro e la voglia di fare figli. Così, la disoccupazione non diminuisce e raggiunge, secondo dati Istat diffusi il 3 giugno, nel primo trimestre del 2014 il 13,6%, in crescita di 0,8 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Si espande, in particolare, la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, salendo al 46,0% (+0,9 punti), ma al Sud la disoccupazione vola al 21,7%, raggiungendo tra i giovani il 60,9%. Di fronte a tali cifre, aumenta il numero dei giovani che rinviano la formazione di una famiglia propria, diminuendo, oltre alle nascite, ma anche i matrimoni. A questi, si aggiunge il numero dei padri e delle madri disoccupati, rispettivamente 303mila e 227mila, secondo alcuni dati risalenti al 2012. Questo contesto non è aiutato da come è strutturato il mondo del lavoro in Italia, poiché, in una famiglia, è necessario che tutti e due i futuri genitori abbiano un impiego, altrimenti non ci sono entrate sufficienti. Tuttavia, se anche si trova un lavoro, spesso quest’ultimo difficilmente si abbina alla funzione genitoriale per i suoi ritmi e le sue esigenze, caricando sulle famiglie notevoli disagi. Alle donne, quasi in perfetta solitudine, spetta la capacità e la scelta di accordare maternità, cure familiari, lavoro domestico ed extradomestico. Pertanto, non sorprende che ci sono donne che rinunciano al lavoro per la maternità e viceversa. Secondo dati CGIL riguardanti le Marche, il 22% delle mamme non ha parenti cui dare in custodia il bambino, il 18% non ha ottenuto l’iscrizione al nido, l’8% si lamenta degli elevati costi dei servizi nido e baby sitter, il 2% si dimette per mancata concessione del part-time. Nel 2012 quasi una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio non ha più un lavoro. Si rileva, inoltre, che l’età media in cui un uomo e una donna si ritrovano a progettare la propria vita familiare, si attesta, sempre più spesso, sugli over 35. Secondo alcuni studiosi, erano quasi sette milioni i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni che vivevano ancora con i genitori nel 2010. I giovani italiani restano con la famiglia d’origine molto più a lungo rispetto ai coetanei del resto del mondo. Sicuramente, esiste una tendenza culturale che rende così di successo questo tragico fenomeno, ma le scelte dei singoli a restare legati alla casa di origine o all’avere o non avere figli, non sono solo imputabili esclusivamente a scelte o stili di vita, di fronte ad un quadro così complesso. Non ultime, non si possono dimenticare le difficoltà abitative, la carenza di servizi, il costo socio-economico dei figli, le spese per la salute e il basso potere d’acquisto dell’euro. Si può, quindi, affermare che esiste un clima sociale assolutamente sfavorevole alla maternità e alla paternità. Di fronte a tutto questo, come reagiscono le Istituzioni? L’approccio delle politiche del welfare proclama la centralità della famiglia, ma le azioni sono poche, ponendo la famiglia stessa in una marginalità quale soggetto delle politiche sociali, per cui diviene inconsistente. Resiste un’anacronistica tendenza a misconoscere la funzione sociale della famiglia, perciò le risorse ad essa destinate sono residuali, lasciando che gli interventi si concentrino sui bisogni individuali di bambini, anziani, donne, disoccupati. In questo modo, sottoposta a pressioni crescenti e avvelenata dal materialismo e dall’egoismo, la famiglia si sfascia come dimostrano l’alto tasso di separazioni e divorzi, dove i bambini sono le vittime più evidenti. Sono, così necessarie politiche di sostegno e di promozione che risolvano problemi come quello della casa e che riconoscano il carico dei figli per diminuire il peso fiscale, oltre a politiche dei servizi efficaci, diffusi e sostenibili. Tutto ciò non sarà possibile se non si creerà una nuova considerazione della famiglia come soggetto centrale delle politiche sociali, cui occorre aggiungere una diversa impostazione del mondo del lavoro, oggi troppo precarizzato. In questo modo, sarà possibile riconoscere la sua specificità delle funzioni e di fornirle un sostegno indiretto, così da creare un ambiente favorevole allo svolgimento ottimale delle funzioni che le sono proprie.
Francesco Sanfilippo

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