farmaceutica

L’appropriatezza prescrittiva nei farmaci, un problema da non sottovalutare

L’appropriatezza prescrittiva rappresenta un problema di estrema attualità in un sistema sanitario costretto a razionalizzare le risorse da destinare alla cura di una popolazione sempre più composta da soggetti anziani. Questi ultimi, in gran parte affetti da patologie croniche, devono spesso essere trattati per molti anni con numerosi farmaci. Per questo motivo in tutto il mondo si stanno sviluppando strategie volte ad identificare il paziente cui somministrare un determinato medicamento, secondo il principio di “dare il Farmaco giusto al Paziente giusto”. In questo modo, si ottempera alla raccomandazione dell’OMS, secondo la quale un trattamento è appropriato se i benefici attesi sono superiori ai possibili effetti negativi previsti. Senz’altro, il margine di beneficio deve essere sufficiente per giustificarne la scelta.
Una cura può considerarsi appropriata, quando è associata ad un beneficio netto o, più precisamente, quando è in grado di massimizzare il beneficio e minimizzare il rischio al quale un paziente può andare incontro. Sono state, pertanto, formulate, a tal fine, delle Linee Guida, in gran parte da parte delle Società Scientifiche, aventi come obiettivo principale quello di indirizzare i Medici alla scelta di un trattamento ottimale. Questa scelta può avvenire alla luce delle evidenze scientifiche più significative ed anche dell’esperienza clinica maturata nel tempo. Nell’ambito dell’osteoporosi, poi, questa necessità è ancora più rilevante, in considerazione dei nuovi farmaci a disposizione del Medico, spesso piuttosto costosi. Tuttavia, questi consentono di ottenere dei risultati sulla prevenzione delle fratture e sulla qualità di vita dei Pazienti che fino ad alcuni anni fa erano del tutto impensabili. In Italia il costo delle fratture da fragilità, indotte in gran parte dall’osteoporosi, sono assai rilevanti. Come riportato in un recente lavoro (Arch Osteoporos 2013), si stima che nel nostro Paese il trattamento delle fratture di femore costi oltre 7 Miliardi di Euro all’anno. In gran parte, sono destinati alla cura in fase acuta e post-acuta ed al trattamento riabilitativo, mentre la spesa per la prevenzione secondaria, finalizzata cioè alla prevenzione di ulteriori fratture viene stimata in circa 360 milioni di Euro. Inoltre, come pubblicato dall’AIFA, nel nostro Paese meno del 30% dei Pazienti fratturati a livello di femore o di vertebre, oppure trattati cronicamente con corticosteroidi, usufruiscono di un trattamento corretto e, di questi circa la metà per vari motivi sospende la cura entro un anno. I motivi di tale clamorosa inappropriatezza terapeutica sono principalmente da ascrivere alla scarsa conoscenza dei Medici sugli ottimi effetti di un trattamento antiriassorbitivo o anabolico in Pazienti con fratture da fragilità, ma anche agli effetti collaterali, spesso anche soltanto paventati, che tali farmaci possono indurre. Per questo Motivo la SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) è da alcuni anni impegnata a diffondere fra i suoi Associati, ma non solo, la cultura della prevenzione, primaria e secondaria delle fratture. La Società suggerisce l’opportunità di attivare un trattamento appropriato in tutti i Pazienti fratturati e di porre costante attenzione all’aderenza alle cure da parte dei Pazienti. Questi ultimi, spesso anziani ed affetti da molte patologie croniche, tendono ad abbandonarle in quanto non producono significativi benefici nel breve termine su sintomi soggettivi come il dolore o la mobilità. In particolare, come suggerito dalle linee guida della SIOMMMS (www.siommms.it), è assolutamente necessario anzitutto identificare i soggetti a maggior rischio fratturativo. Si utilizzano sistematicamente, a tal fine, gli algoritmi disponibili (FRAX e DeFRA) che utilizzano in modo integrato la densitometria DXA ed i principali fattori di rischio clinici. Poi, considerando che una frattura è di per sé un elemento clinico sufficiente a definire il Paziente ad elevato rischio di recidiva, si attiva un trattamento appropriato per il tempo necessario a prevenire ulteriori fratture. Tuttavia, in concreto, dovendo scegliere il farmaco giusto sulla base della tipologia del Paziente da trattare, occorre tener presente che esso deve teoricamente presentare alcune caratteristiche. Queste riguardano il possedere un meccanismo d’azione in grado di correggere il difetto fisiopatologico del Paziente e l’aver mostrato un’efficacia sulla riduzione delle fratture in trial clinici in doppio cieco e controllati con placebo condotti a livello internazionale. Inoltre, occorre essere in grado di produrre positivi effetti sulla qualità di vita dei Pazienti cui è stato somministrato e presentare una buona compliance nel lungo periodo. Di conseguenza, è necessario anzitutto valutare correttamente il paziente da un punto di vista metabolico e successivamente prescrivergli un farmaco, di cui sia stata dimostrata l’efficacia sulle fratture. Si può sceglierlo fra quelli ad effetto antiriassorbitivo (Bisfosfonati, SERMs, Denosumab) oppure anabolico (Teriparatide), in coerenza con le sue caratteristiche fisiopatologiche. Ciò può essere fatto senza, peraltro, trascurare quanto previsto dalla nuova Nota 79, pubblicata in GU il 20 maggio 2015.
La stretta osservanza di quest’ultima può certamente contribuire al miglioramento dell’appropriatezza terapeutica ed a una riduzione dei costi sociali delle fratture da Osteoporosi.

Giancarlo ISAIA
Presidente della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS)

di Redazione

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